Post-porno
[Immagine di anteprima di Uarê]
La definizione di post-porno ha le radici nel movimento sex-positive, femminista, queer statunitense degli anni Ottanta e Novanta. A fare conoscere questo termine è stata indubbiamente Annie Sprinkle, grazie al suo spettacolo Post-Porn Modernist Show (in cui mostrava al pubblico la sua cervice grazie a uno speculum) e al Post-Porn Modernist Manifesto[1], firmato da Annie Sprinkle con Veronica Vera, Frank Moores, Candida Royalle e Leigh Gates nel 1989. Questo Manifesto, scritto negli anni in cui si stava diffondendo la fobia dell’HIV/AIDS e durante la presidenza Reagan, costituiva una forte presa di posizione a favore di una sessualità consapevole. Le sue autrici erano esponenti del movimento di sex-workers, attrici e attori porno, performer, ma anche scrittrici, artistз e attivistз che si opponevano alla criminalizzazione della pornografia (e del sex work) portata avanti in quegli anni dall’alleanza tra le femministe abolizioniste e i movimenti conservatori cristiani.
Il termine post-porno in sé non ha una definizione rigida, bensì un significato fluido che si modifica (e continua a modificarsi) a seconda del contesto, della performance e delle persone che lo fanno proprio. In tutta la produzione post-pornografica possiamo però riconoscere alcuni elementi caratterizzanti, fra cui spicca la critica alla pornografia “tradizionale” in quanto promotrice di un immaginario eteronormato, abilista[2], colonialista e incentrato sul godimento dello spettatore (fra le altre cose, portando l’attenzione unicamente sui genitali e sull’eiaculazione maschile).
A essere messo in discussione, nella post-pornografia è soprattutto il rapporto tra performer, spettatori/trici e media. Se nella pornografia tradizionale lo scopo è il godimento e la soddisfazione dello spettatore (ne sono un esempio l’utilizzo di categorie con cui vengono classificati i film porno, l’estetica degli attori e delle attrici, il ruolo centrale dell’orgasmo, ecc.) , per la post-pornografia è importante la rappresentazione dei corpi e dei loro desideri. Ci troviamo davanti a un vero e proprio ribaltamento del rapporto tra i/le perfomers e il pubblico.
Come ha spiegato Paul Preciado, “il post porno non è una rappresentazione estetica, ma un insieme di produzioni che emergono dai movimenti di riappropriazione politica e visuale delle minoranze sessuali”. A prendere parola tramite il post-porno sono i “corpi che lavorano nell’industria del sesso, prostitute e attori e attrici porno, donne che dissentono dall’ordine eterosessuale, corpi transgender, lesbiche, corpi con diversità fisiche o funzionali” in quanto essi stessi, in sé, sono un “archivio della resistenza”[3].
La post-pornografia è quindi, prima di tutto, una produzione culturale di liberazione.
Nel post-porno i corpi sono rappresentati per quello che sono: i liquidi, gli odori, i rumori, le forme, le vibrazioni non sono censurati, ma mostrati, inquadrati, sonorizzate. I dispositivi di protezione dalle MST e alcune buone pratiche di espressione del consenso, vengono resi espliciti proprio al fine di educare a una sessualità consapevole, oltre che maggiormente rappresentativa della realtà. In una performance post porno possiamo incontrare profilattici, guanti, dental dam, safe words e manifestazioni esplicite di affetto, divertimento e cura come parte integrante della pratica sessuale.
Un altro elemento chiave della produzione post-pornografica è la critica al dualismo natura/cultura. Questo si traduce nel dare alla tecnologia un ruolo da protagonista nell’interazione con i corpi all’interno delle performance. Corpi che sono il luogo della sperimentazione e del post-umano, del non-umano, della mostruosità, con riferimenti ricorrenti a immaginari sci-fi e al cyber-femminismo[4]. Anche i sex toys vengono quindi reinventati: la loro forma e i colori si adattano ai gusti dei perfomer, si gioca con le protesi, con oggetti che quotidianamente hanno altre funzioni, oppure si utilizzano toys autoprodotti. La scena post-porno deve molto ai movimenti punk e cyberpunk e alla pratica del DIY.
Infine, la critica al capitalismo, di cui l’industria del sesso è espressione, è inevitabilmente il corollario che ha accompagnato le differenti connotazioni della post-pornografia dagli inizi fino a oggi. Le performance sono nella maggior parte dei casi autoprodotte e non circolano sui canali di distribuzione mainstream. E a volte può addirittura succedere che la performance stessa diventi uno strumento di finanziamento per collettivi, associazioni e comunità di attivistə sex-positive[5].
[1] A. Sprinkle, Post-Porn Modernist, Golena edizioni, 2005. Qui la versione audio del Manifesto: https://391.org/manifestos/1989-the-post-porn-modernist-manifesto-veronica-vera/
[2] Viene definito abilismo un atteggiamento discriminatorio nei confronti della disabilità. In questo caso ci riferimamo al fatto che nella pornografia vengono rappresentati unicamente corpi abili.
[3] Si veda http://paroledequeer.blogspot.com/2015/05/postporno-activism-by-paul-b-preciado.html
[5] Il film ospitato sulla nostra piattaforma The Chemo Darkroom (https://uniporn.tv/film/the-chemo-darkroom/) ne è un esempio. Gli introiti vengono infatti devoluti all’associazione berlinese Casa Kuà (https://www.frauenzentrum-schokofabrik.de/unterm-schokodach/casa-kua).