Il mio corpo è un’arma di distruzione epistemica

27 Agosto 2021

Intervista a Rachele Borghi, a cura di Teresa Sala.

Fotografie realizzate da JUSTIN*Y.


Rachele Borghi è professora di Geografia all’Università Sorbona di Parigi, geografa queer, pornosecchiona transfemminista. Il suo lavoro s’incentra sulla decostruzione delle norme dominanti che si materializzano nei luoghi e sulla contaminazione degli spazi attraverso i corpi dissidenti e militanti.

Io ho avuto il privilegio di conoscerla nel 2013 a Madrid durante il training Space/ID Madrid - Gender, Art and Pubblic Space organizzato da Queer Art Lab e Betty&Books e se non l'avessi conosciuta oggi non sarei la persona che sono (tra le altre cose transfemminista e queer). Negli anni l’ho frequentata, seguita e inseguita tra Italia ed Europa. Ho preso parte a diverse sue performance sperimentando sulla mia pelle la potenza dei corpi nudi. Faccio questa premessa per spiegare il mio posizionamento:intervistare Rachele ha significato rielaborare un pezzo di storia personale fatta insieme a lei e attraverso di lei.

Partiamo da Decolonialità e privilegio, il libro da te scritto e uscito per Meltemi nella collana Culture radicali di Ippolita nel 2020. In questo testo parli di coloniale, post-coloniale e decoloniale mettendo al centro il tuo posizionamento e il tuo percorso per affermare la centralità dell’esperienza soggettiva in un campo come quello della ricerca accademica che si vorrebbe neutro e disincarnato. Nell’ultima parte del libro dedichi un capitolo al post-porno. Ma cosa c'entra il Post-Porno con la geografia e con la decolonialità?

C'entra perché il post-porno parla, racconta, crea un immaginario sul corpo; e il corpo è un luogo.

Quello che mi interessa è come il post-porno, attraverso la mobilitazione dei corpi nello spazio pubblico, permette di creare dei momenti di rottura delle norme dominanti. A me piace dire: far esplodere il corpo là dove non te lo aspetti.

Inoltre attraverso le performance post-porno certi luoghi vengono risignificati, rendendo evidente il principio che nessun luogo è neutro.

Un altro aspetto importante per me è come il post-porno costruisce relazioni e come queste relazioni vanno poi a toccare, a cambiare e interagire con i differenti spazi. Anche con gli spazi dell'intimità, perché si vive in maniera diversa lo spazio privato quando si pratica la relazione costruita attraverso il post-porno.

Con la decolonialità c'entra tantissimo perché una grandissima parte della scena post-porno si è configurata direttamente negli spazi di produzione del pensiero decoloniale, cioè in America Latina. In quel contesto il post-porno è usato da sempre per le lotte decoloniali: le marce contro lo sfruttamento del suolo, contro l’estrattivismo, la gentrificazione, l’espropriazione e il terricidio, per esempio. Quindi in qualche modo una parte del post-porno è intrinsecamente decoloniale.

Quando ho intervistato Preciado nel 2011 mi ha raccontato che quando era andato in America Latina l* attivist* locali l’avevano criticato per il suo approccio al post-porno, sottolineando che tutti i soggetti coinvolti nel post-porno europeo erano bianchi.

Io penso che se è vero che non si può fare la quota decoloniale, la questione è un'altra: il post-porno ha sempre avuto una componente decoloniale dentro, ma alcune di noi, in Europa, non avevano ancora la lente decoloniale, perché l'occidentalnormatività è difficile da sradicare. Non avevamo ancora la capacità di vedere la decolonialità nel post-porno.

Infine rispetto al mio lavoro, di accademica e ricercatrice, il post-porno c'entra tantissimo.

Ho inserito un capitolo sul post-porno nel mio libro sulla decolonialità non perché io faccia una produzione post-porno decoloniale, anche perché non sono una pensatrice decoloniale. Il pensiero decoloniale lo deve produrre chi ha un corpo che porta i segni della storia della colonialità. Il mio è un corpo che risponde alle proposte della decolonialità, perché il pensiero decoloniale non può che interrogare in maniera forte la bianchezza e quindi per me è necessario, da persona bianca, uscire dall'occidentalonormatività.

Io l'ho fatto attraverso il post-porno, attraverso l’invito di imparare a trasgredire (citando bell hooks) che mi ha fatto il post-porno. Applicarlo, non a livello di nudità, ma a livello di pratica, di maniera di pensare, di concepire le relazioni e gli spazi all’interno dell'Università in cui lavoro, per me è un atto di decolonialità, un modo di ribellarsi e di trasgredire le norme cartesiane, occidentalonormate, che, come insegnante, in un contesto istituzionale, subisco un'ingiunzione a riprodurre.

Esiste una scena o una produzione post-porno italiana?

Bisogna capire se si intende fatto in Italia o fatto da italiane perché se si intende fatto da italiane senza dubbio. Dividerei il post-porno in due ondate.

Chiamo la prima ondata quella che arriva fino al 2013, data del decimo compleanno di Post Op, e che era iniziata proprio con la nascita di Post-op nel 2003. Tra le protagonista della prima ondata sicuramente ci sono ideadestroyngmuros che lavorano in Spagna ma vengono dal triveneto, e portano dentro la loro produzione anche riflessioni e azioni legate alle problematiche del loro contesto di origine. Penso ad un loro documentario, NordPorn Capitalismo, in cui riprendevano, con un approccio intersezionale, le problematiche che erano molto forti in quella zona tipo il ruolo della Lega, il razzismo, ecc.

Altre persone come Slavina hanno prodotto, pensato e fatto circolare il post-porno tra Italia e Spagna. Queste persone e altre hanno dato origine ad una produzione post-porno che potremmo definire della diaspora perché ha degli elementi ibridi e mischiati e sicuramente ha una prospettiva nell'esperienza della migrazione, ma è radicata anche nell’esperienza italiana. Questa osmosi ha dato un’impronta decisiva al transfemminismo queer italiano rendendolo diverso, per esempio, dal transfemminismo francese. Si è infiltrato nel movimento e ha portato alla creazione di spazi, come la LadyFest a Roma e Milano, alla proliferazione delle declinazioni produttive come quelle di Valentine aka fluida wolf, Rosario Galiardo, Titta Raccagni, di Lilith Primavera e della scena romana. Non tutt* si rivendicano il post-porno ma c’è comunque una dimensione forte della dissidenza sessuale, della resistenza attraverso la sessualità e dell’integrazione tra sessualità e militanza.

Sulla seconda ondata, cioè quella attuale, che si svolge molto in America Latina, sono meno informata perché non ho più fatto 'ricerca sul campo' come ricercatrice. Non ho i dati scientifici ma “solo” i dati di relazione con le persone e posso dire che ci sono tant* che portano avanti produzioni o pratiche post-porno che magari però non si definiscono come post-porno. C'è attualmente una produzione forte di un porno politico o forse anche un uso del corpo e della performance che riprende i codici del post-porno anche in contesti che non si definiscono post-porno. Forse è stato uno dei successi del post-porno stesso: riuscire a iniettarsi nella produzione artistica e performativa transfeminnista queer in maniera talmente forte e solida che non si chiama neanche più così.

Cosa vorresti per il futuro tuo e del post-porno?

Innanzitutto che nel futuro una persona che usa la fica come faccio io, cioè la fica di una assegnata intellettuale, con la sua presenza e la sua nudità possa sì creare scompiglio ma non che sia considerato normale ricevere degli attacchi come quelli che ho ricevuto io. Tu non puoi voler vedere morta una persona perché fa vedere la fica e si rivendica il valore politico della fica. Quindi quello che mi auguro è che un giorno si possa integrare il post-porno, come porno politico, nella vita e nelle pratiche lavorative e relazionali  senza  doversi preoccupare di essere minacciat* di morte.

Purtroppo non sono sicura che sia possibile, perché vorrebbe dire uscire da una società sessuofoba e non credo che questo accadrà presto.

Però il post-porno ha dato un grande contributo nel cambiare questo aspetto della società. Senza il post-porno io non sarei quella che sono oggi: è stato un cambio di paradigma radicale. Il post-porno mi ha dato una grandissima forza attraverso l’imitazione delle compagne che mi hanno trasmesso il contagio dell’osare, dell'irriverenza e del coraggio. Ma soprattutto quello che mi ha affascinato tantissimo del post-porno è stato come le persone si relazionavano tra di loro e come attraverso il post-porno creavano relazioni.

Questo mi ha spinto a dire voglio farne parte anche io, voglio anche io quella condivisione, quella bellezza che vedevo in queste persone e in queste pratiche. Per cui ho iniziato a fare performance post-porno, che poi non so se le mie performance possono essere considerate post porno, sicuramente sono di una persona transfemminista che fa circolare i saperi attraverso il suo corpo.

Perché pensi che le tue performance non siano post-porno?

Perché se guardo le caratteristiche del post-porno non mi ci ritrovo: io non faccio nessuna pratica sessuale evidente, nel senso che non faccio penetrazioni. Parlo però di quello con il mio corpo nudo. Per esempio un mio studente, di recente, mi ha scritto che il mio corpo è un'arma di distruzione epistemica incredibile e credo sia questo che mi ha affascinato nel post-porno: che fosse un'arma di distruzione epistemica.

Per la mia declinazione del post-porno forse sì, sono post-porno. Poi non oso dire che la mia produzione è post-porno primo perché non sono un'artista, secondo perché io uso i codici del postporno per far circolare saperi ma senza metterli in relazione diretta con pratiche sessuali. Io ho usato il post-porno per quello che interessava a me: trasmette sapere. Non oserei dire che è faccio performance post-porno, non mi sento legittima ma se qualcun* lo dice io ne sono assolutamente felice.

Però come hai detto poco fa tu stessa il post-porno bisogna rivendicarselo. Quindi nessun* può dirti che fai post-porno se tu non dici che fai post-porno.

Hai ragione, ma io comunque non mi sento legittimata! (Ridiamo insieme)

Metti poi come condizione necessaria per il post-porno l’evidenza della pratica sessuale, che mi spinge però a chiedermi e chiederti: si può parlare di sesso esplicito solo se c’è penetrazione? Quando inizia il sesso? Quali sono i confini del sesso? Se mettiamo in discussione che sia l’atto penetrativo a dividere ciò che è sesso da ciò che non lo è, allora forse possiamo ampliare il concetto di pratica sessuale esplicita (che poi definisce il perimetro della pornografia)...

È il grande tema del post-porno. Infatti uno dei riferimenti del post-porno è il Manifesto Contrasessuale di Preciado in cui viene enunciato esattamente questo cambio di paradigma.

Nelle mie performance sicuramente si fanno delle grandi ammucchiate. C’è sempre il mio corpo nudo: che non è un corpo desessualizzato, perché io rivendico la mia nudità come sessuale, è un corpo desiderante e io voglio che sia desiderato anche nel contesto performativo. Ovviamente quello che cambia è il consenso, quello è importante da sviluppare.

Le mie performance portano anche ad una nudità collettiva che fa circolare una potentia gaudendi. Diverse persone mi hanno raccontato che dopo la performance Porno Trash hanno scopato, si sono messe assieme... quindi forse anche sì, facciamo sesso tutte assieme perché liberiamo la parola sul sesso, perché io uso testi che parlano di sesso.

Ho sempre trovato le tue performance molto empoteranti sia per come le costruisci che per come usi il tuo corpo, oltre che per il contenuto. Io mi sono spogliata tutte le volte che ho assistito a Porno Trash e non avrei mai pensato di farlo per la vergogna che provo nei confronti del mio corpo. Partecipando alla tue performance ho sentito che potevo osare e uscire dalla mia zona di comfort per entrare in uno spazio di scoperta euforica. Trovo che la tua nudità sia estremamente generosa: è un regalo che fai a chi ti guarda, e un invito a diventare tua complice uscendo dal ruolo di spettatora per diventare soggetto agente. Oserei dire che non contano tanto la precisione della drammaturgia o la capacità ginnico-performativa ma l’onestà con cui ti poni.

Io di base sono impacciata, sono una che cade, da sempre. Sono di base una che si sente a disagio ovunque, quindi penso che il mio voler fare le performance sia stata una reazione al disagio. Il risultato non è che non sento più disagio ma che posso stare in quello che io chiamo a mio agio nel disagio. Io penso che le persone lo sentono e si sentono legittimate a stare a loro agio nel disagio.

Perché poi la quesitone del disagio dei corpi è una questione centrale. È vero che ci sono corpi più privilegiati di altri (i corpi cisgender) ma è anche vero che tutte le volte che ho fatto Porno Trash, qualcun*, che non avrei mai detto, mi ha rivelato che si era sempre sentit* a disagio con il proprio corpo ed era la prima volta che si spogliava in pubblico. Magari persone fiche da paura che da fuori dici “quest* mai e poi mai si sentiranno a disagio con i loro corpi”. E in realtà si erano sempre sentit* a disagio. Così ho capito che non bisogna sottovalutare il tuo disagio con il tuo corpo anche se niente del tuo corpo dice che dovresti essere a disagio, perché la tua sofferenza per cose che a me possono sembrare banali è reale. Io non me le sentirei mai di sminuire una persona che, per esempio, ha un fisico da paura e si sente a disagio dicendo "Com'è possibile che sei a disagio?" Com'è possibile non sta a me dirlo. La potenza della nudità collettiva permette anche a te di fare questa esperienza e di uscire un po' dal disagio o di sentirti a tuo agio nel disagio.

Ecco forse una delle cose importanti delle performance che faccio io è che c'è sempre un posto per il disagio perché è prima di tutto il mio.

Riepilogo